Il rigore di Roberto Mancini e la democrazia della III A
Mentre io e altri aspettavamo di arrivare a 10 (almeno 10) per fare la nostra partita di calcetto prima di entrare in classe, quel lunedì 19 Febbraio del 1990 sentii dire da un mio compagno di classe, lo stesso che l’anno prima mi aveva detto del colpo di testa di Renica nella remuntada in UEFA: « Rigore di Mancini!».
Rigore di Mancini, e allora? Mi veniva da dire.
Poi mi fece capire, ma a questo punto punto forse è giusto riavvolgere un po’ il nastro dei ricordi. Ho vissuto in terza media la stagione 1989-90, quella che sarebbe culminata con il secondo scudetto del Napoli, e all’inizio della scuola (e grosso modo del campionato) io e alcuni miei amici decidemmo di cimentarci con qualcosa che sembra essere oggi qualcosa di straniante e alieno, quasi come un telefono a gettoni, vale a dire il Totocalcio.
Tempo un mesetto e la cosa venne all’orecchio del nostro prof di lettere, che, da persona sempre attenta a stimolarci tanto alla competizione (facevamo delle gare a squadre su argomenti di epica, grammatica e antologia) quanto alla cooperazione e alla responsabilità (eleggevamo un reggente settimanale a rotazione), saltò su e disse: «Facciamo la schedina tutti insieme! Il primo quarto d’ora del sabato facciamo la schedina.»
Ero tra quelli che storse il naso, ma, obtorto collo o meno, accettai la situazione. L’assunto era che se non riuscivamo a far soldi io e miei amici nerd del calcio come avremmo potuto farli assoggettandoci alla volontà popolare?
Soprattutto conoscendo bene i miei polli.
In classe eravamo 9 maschietti e 11 femminucce. E allora, direte?
E allora dovete sapere che quasi tutte erano innamorate perse di Paolo Maldini, Roberto Baggio e Beppe Giannini.
Quindi accadeva che quasi sempre venivano fuori vittorie sistematiche, stante il rapporto 11 a 9, per Milan, Roma e Fiorentina. Ora, il Milan vinceva spesso, arrivò a due punti dallo scudetto, la Roma era altalenante, ma comunque era sempre intorno ai piazzamenti europei, mentre la Fiorentina…
La Fiorentina di Baggio ebbe una stagione travagliata, da bella di notte, verrebbe da dire. Giocò molto bene in Europa, arrivando a giocarsi la finale di UEFA contro la Juventus (negli anni in cui Eravamo Re), ma stendando molto in Italia, dove galleggiò quasi sempre appena più su della zona retrocessione; e questo nonostante i gol che Baggio, orfano della spalla Borgonovo dell’anno precedente, quando si parlava di B2, pure fece. Tanti e belli.
Insomma, avete capito.
Per le ragazzine la Fiorentina era vincente sempre e a prescindere, anche contro le corazzate; di contro noi maschietti c’eravamo risolti a giocarci sempre una doppia sulla Fiorentina proprio per cercare di mitigare quei risultati che a volte, troppe volte, ci sembravano grottescamente inverosimili. Verrebbe da dire che in quei sabati qualcuno di noi capì che la democrazia è la dittatura dei numeri, ma forse non sarei onesto, perché a fare quella schedina con sistema ridotto di sei doppie ci divertivamo ed eccome. Davvero non pensavamo di vincere, ma era un quarto d’ora del tipo… tutto è possibile che ci caricava in vista dell’ultima giornata scolastica.
Ricordo Vito che ogni tanto se ne usciva con qualche pettegolezzo su qualche calciatore, circostanza che, a suo dire, avrebbe potuto deconcentrarlo e renderlo meno affamato e decisivo sul rettangolo verde. E ricordo l’altro mio amico Gianluigi che, al terzo derby regionale sbagliato, si sentì dire dal prof: «Gianluigi, smettila di dire derby a caso che ti abbasso il voto a Geografia».
Ecco, l’atmosfera era questa, tipo quella goliardica che ai tempi era assimilabile a una sola squadra: la Sampdoria.
Bene, direte.
Finalmente siamo arrivati alla Sampdoria e a Mancini.
Sì e no.
Ricordo che il sabato prima mi ero battuto per cercare di mettere una doppia a Verona-Sampdoria, perché vedevo il Verona, che lottava per non retrocedere, in ripresa o comunque disposto a non mollare. Riuscii a sfangarla.
La classe III A, il 17 Febbraio del 1990, mise un X-2 alla partita Verona-Sampdoria.
A un certo punto, Davide Pellegrini, il Pellegrini di mezzo come dicevo io, cioè il secondo dei tre fratelli Pellegrini e l’unico a giocare in attacco, segnò la rete dell’1-0 per il Verona. Da dire che contro non c’era il più grande dei Pellegrini, Luca, probabilmente infortunato. Mi chiedo sempre che giocatore sarebbe stato Luca Pellegrini se fosse riuscito a restare lontano dagli infortuni.
All’ultimo minuto venne concesso un rigore alla Sampdoria.
Assente Vialli, che ebbe pure lui una stagione tribolata, sul dischetto andò Roberto Mancini. Angelo Peruzzi, in prestito al Verona dalla Roma, balzò alla sua destra e annullò, in un colpo solo, il pareggio alla Samp e un bel… 13 alla classe III A della scuola media Aulo Attilio Caiatino.
Già, cari amici, perdemmo un 13 al Totocalcio all’ultimo minuto per via di un rigore e sbagliando una doppia.
Non ricordo quanto, ma non prendemmo molto, sicuramente meno di cinquecentomila lire.
Era la giornata numero 25.
Alla giornata numero 32, che se non erro cadeva nel sabato di Pasqua, ma qui non son sicuro eonestamente non mi è ho avuto voglia di controllare, riuscimmo a racimolare qualche altra liretta con un 11 al Totocalcio.
Già, la schedina democratica della III A riuscì a far bis.
Vincemmo qualcosina con l’11, anziché con il 12, perché la partita Genoa-Inter fu interrotta per impraticabilità di campo. Ricordo bene però che, al momento della sospensione, quella partita la stavamo sbagliando.
Non ricordo invece chi andava, essendo noi minorenni, a riscuotere le vincite; se il prof o qualche genitore, questo non lo ricordo.
Quei soldi andarono a finire in un fondo cassa che venne speso per la festa di fine anno, che per noi coincise anche con la fine delle medie.
Mancini e la Samp ci privarono di una vincita più sostanziosa, ma all’epoca nessuno ne fece un dramma, eravamo ricchi di gioventù e tanto bastava ed avanzava e certo non potevamo avercela con la squadra che più di tutte sembrava un’allegra brigata di amiconi in libera uscita.
Ho vinto qualche scommessina, ma finché ho giocato al Totocalcio non ho mai più vinto. Questo dovrebbe insegnare qualcosa, ma non sono sicuro sul cosa. Ero tra quelli più contro quella democrazia della schedina, ritenendomi un esperto, eppure ho vinto quando ho camminato insieme agli altri, a quelli che secondo me non ne capivano, in quel quarto d’ora di baldoria e risate.
È il calcio, un gioco semplesso (parola che esiste cosa credete?) a farsi beffe degli esperti (o sedicenti tali), oppure dovremmo, sulla scorta di questa esperienza, interrogarci a fondo sulle cose nelle quali crediamo di essere sicuri? Ciò porta come corollario anche a interrogarci sugli altri esperti che, in ogni ambito, incontriamo. Lo sono davvero?
Daniel Kahneman e Philip Tetlock ci hanno messo in guardia sugli esperti. I veri esperti conoscono i limiti della loro conoscenza e molti esperti sono ciechi dinanzi al fatto che non sono affatto così esperti come credono.
Ma questi son discorsi tediosi, mentre la III A di Caiazzo del 1989-90 sapeva divertirsi e vincere.
Insieme.
Il nostrocalcio.it corre anche sul filo di simili ricordi.