Questa è l’ultima storia di questa piccola raccolta di “matti, miti e meteore”.

Ho amato un po’ tutti quelli raccontati in queste pagine.

Quello è stato forse il criterio principale quando ho deciso di scrivere questo libro.

Calciatori che nei miei 40 anni abbondanti di passione (insana ?) per il calcio britannico mi hanno attratto, affascinato e stupito con le loro storie, chi per un motivo chi per l’altro.

Ma la storia che più sento, che più mi ha commosso e che al tempo stesso è stata per il sottoscritto la più difficile da mettere nero su bianco è proprio quest’ultima.

Quella che parla di un ragazzo nato a Mancot, nel nord del Galles e che fin da bambino sognava solo una cosa: diventare un calciatore professionista.

Riuscendoci, pur non avendo doti tecniche innate ma che grazie ad un fisico atletico ma soprattutto ad una dedizione non comune gli hanno permesso di diventare un calciatore di primissimo livello, per oltre venti anni di carriera.

La storia che racconta di un calciatore che ovunque abbia giocato ha lasciato un ricordo indelebile per la sua professionalità, per la sua educazione, per la sua personalità e soprattutto per un rendimento sempre altissimo.

Un calciatore che in bacheca non ha raccolto molte medaglie: un trionfo in campionato nelle file del Leeds United a soli 22 anni … quell’età in cui pensi che quel trofeo sarà solo il primo di una lunga serie.

Non sarà così.

Ma quello che ha lasciato in eredità Gary Speed è molto, molto di più.

Una persona con un cuore grande che ha saputo farsi amare per le sue qualità umane prima ancora che tecniche.

Il sorriso aperto, l’assoluta disponibilità con compagni e tifosi e soprattutto una professionalità decisamente “rara” in un periodo in cui nel calcio britannico imperversavano gli eccessi e dove Paul Gascoigne, Tony Adams e Paul Merson erano tutto fuorché eccezioni.

Gary Speed non amava gli eccessi. Curava l’alimentazione e il proprio corpo.

Più facile trovarlo in casa con la famiglia, a guardare partite di calcio alla tv, a leggere libri di storia o a suonare la sua chitarra che vederlo in un pub a fare “collezione” di pinte.

Un esempio per tutti in ogni allenamento, soprattutto per i compagni di squadra più giovani.

Accade però spesso che dietro questa realtà che racconta di un atleta di valore, di una persona di spessore, di un padre e marito attento ed affettuoso esista un’altra parte più nascosta, tenuta in un angolo buio e polveroso … ma che ogni tanto riaffiora e torna a fare male come un ferita che non ne vuole proprio saperne di rimarginarsi completamente.

Una di queste ferite mai rimarginate riguarda la squadra del cuore di Gary: l’EVERTON FC.

Quando nell’estate del 1996 Joe Royle, allenatore dei Blues di Liverpool si presentò al Leeds United con un assegno di 3.5 milioni di sterline la tentazione fu davvero troppo grande per tutte le parti coinvolte.

Per il Leeds United dove Gary aveva esordito nella stagione 1988-1989, diventando in brevissimo tempo uno dei calciatori fondamentali nel ritorno prima in First Division del 1990 e poi nella sorprendente conquista del titolo due stagioni dopo.

Per Gary Speed l’Everton voleva dire coronare il sogno di adolescente: quello cioè di giocare per la squadra della quale si era innamorato da bambino nonostante all’epoca sarebbe stato assai più facile innamorarsi dell’altra squadra di Liverpool, quella che giocava in completo rosso, che dominava in Inghilterra e spesso anche in Europa.

Sarà una costante nella vita e nella carriera di Gary Speed: le sue scelte non sono mai state condizionate dalle vittorie, dal prestigio o dal denaro.

Un esempio ?

Quando nel dicembre del 2010 gli venne offerto di diventare allenatore del suo adorato Galles Gary (da soli 4 mesi allenatore dello Sheffield United) rinunciò esattamente alla metà dello stipendio percepito in quel momento.

L’Everton dicevamo.

Squadra che da qualche anno stazionava regolarmente nei bassifondi della Premiership inglese, flirtando spesso con il pericolo di una disastrosa retrocessione e che, nonostante la presenza di alcuni ottimo calciatori (Ferguson, Hinchcliffe, Southall o Limpar) aveva ancora tanti, troppi calciatori mediocri per potersi permettere di ritrovare lo smalto della decade precedente.

Ma il cuore conta di più.

Gary Speed firma per l’Everton e nella prima stagione gioca a livelli altissimi, chiudendo addirittura la stagione come miglior marcatore della squadra insieme a Duncan Ferguson con 11 reti all’attivo.

Anche in quella stagione però non si va aldilà di una sofferta salvezza (due soli punti sopra il Sunderland, terz’ultimo alla fine del campionato) e Joe Royle viene costretto a lasciare.

Sulla panchina dei “Toffes” nell’estate del 1997 torna a sedersi, per la terza volta in carriera, Howard Kendall, l’uomo che poco più di dieci anni prima costruì l’Everton probabilmente più forte della storia, capace di vincere in 12 mesi (tra il maggio del 1984 e quello del 1985) FA CUP, Campionato e Coppa delle Coppe.

Gary Speed adorava quel meraviglioso team.

Nella sua camera campeggiavano i poster dei due bomber Graeme Sharp e Andy Gray, del mancino irlandese Kevin Sheedy, del mastino Peter Reid e soprattutto dei connazionali Neville Southall, Kevin Ratcliff e Pat Van den Hauwe, pilastri della difesa dei Blues.

L’inizio della relazione con Kendall è eccellente.

A Gary Speed viene affidata la fascia di capitano, un onore assoluto e una gioia immensa per il mancino gallese.

I risultati però non arrivano.

I crescenti problemi economici del club iniziano a farsi insostenibili.

Approssimazione e disorganizzazione sono ormai all’ordine del giorno nel club.

Spesso è lo stesso Gary ad organizzare e gestire le sedute di allenamento.

Howard Kendall pare preferisca sedersi al bancone di un pub … spesso con altri colleghi dello staff tecnico e, si mormora, addirittura con qualche giocatore.

La professionalità al club è lontana anni luce dai parametri di Gary Speed e del suo modo di intendere la professione.

Ormai la necessità di vendere i pezzi più pregiati del team diventa sempre più impellente.

A fine gennaio viene ceduto il forte terzino Hinchcliffe per tre milioni di sterline … gli altri due “pezzi da novanta” del team sono Duncan Ferguson e Gary Speed.

Cedere il primo scatenerebbe una rivoluzione e addirittura l’incolumità del Presidente Peter Johnson potrebbe essere in pericolo.

E così accade quello che, con grande ingiustizia e dolore di Speed, rovinerà per molto, troppo tempo, l’immagine del giocatore gallese presso i tifosi del Goodison Park.

A fine gennaio di quel 1998 il Newcastle di Kenny Dalglish mette sul piatto 5 milioni di sterline per avere Speed tra le proprie fila.

Howard Kendall rifiuta, convinto che il Newcastle si ripresenterà con una nuova e superiore offerta.

C’è l’imminente trasferta all’Upton Park per l’importantissima partita in chiave salvezza contro il West Ham.

Kendall chiede espressamente a Speed di rinunciare a giocare questo incontro in quanto ritiene Gary “non psicologicamente in grado di giocare il match vista la situazione”.

C’è il timore che un infortunio possa mandare a monte l’operazione.

Speed non ci sta.

“Boss, non mi sono praticamente mai fatto male in tutta la mia carriera … non credo proprio che possa capitare stavolta !” dirà Speed a Kendall.

Niente da fare.

Il manager dell’Everton ha deciso.

Speed non sale sul pullman del team per Londra.

La partita finisce 2 a 2.

Ma è al termine dell’incontro che Kendall “sgancia la bomba” … quella che però colpirà in pieno solo il povero Speed.

“Viste tutte le voci su una sua possibile imminente cessione Gary Speed ha preferito rinunciare a questo incontro” dirà Kendall ai media a fine partita.

Gary è incredulo quanto arrabbiato.

Chiede immediatamente un incontro con Kendall il quale non trova di meglio che giustificarsi dicendo che quello era l’unico modo per evitare che i tifosi si scagliassero contro la società per la cessione di uno dei giocatori più amati facendo credere loro che era Speed a volersene andare anziché il contrario …

Non solo.

A Gary, Kendall chiede addirittura di non parlare in nessun caso con i mezzi di informazione perché questo potrebbe fare saltare la trattativa.

Qualche giorno dopo il Newcastle arriva con una nuova offerta, aumentata di mezzo milione di sterline.

Gary a questo punto non ha scelta.

I tifosi sono inviperiti nei suoi confronti e a lui non resta che andarsene dal club che amava e che lo ha vigliaccamente tradito.

Gary Speed è una persona corretta, onesta e leale.

Per anni gli verrà chiesta la sua versione di fatti.

Non dirà mai nulla.

“Dalla mia bocca non uscirà mai una parola che possa gettare discredito sull’Everton Football Club”.

Queste le sue parole.

Quanto accaduto in quei giorni ebbe per anni delle ripercussioni non certo piacevoli per Speed.

“Oh Gary Gary, Gary Gary Gary Shithouse Speed” era il coro intonato dai fedelissimi dei Blues ogni volta che Gary Speed metteva piede al Goodison Park …

Speed, primo calciatore nella storia della Premiership a raggiungere le 500 presenze, si trasferisce in seguito dal Newcastle al Bolton di Sam Allardyce.

Anche qui le sue prestazioni rimangono di altissimo livello e quando a 40 anni suonati arriva la possibilità di entrare nello staff tecnico dello Sheffield United pur continuando a giocare Speed non se la lascia sfuggire.

Per tutto il 2008 Gary è un titolare inamovibile delle “Blades” ma nel novembre dello stesso anno arriva un infortunio alla schiena che da lì a pochi mesi lo costringerà a lasciare il calcio giocato.

Non ha ancora piantato il famoso chiodo a cui appendere gli scarpini che lo Sheffield United lo nomina allenatore.

Gary Speed ha carisma, ha esperienza, è apprezzato e stimato dai compagni di squadre e da sempre è attentissimo a nuovi sistemi di allenamento, a nuove tattiche di gioco.

Non passano neppure 4 mesi dalla sua investitura a manager dei biancorossi di Sheffield che il Galles gli offre il posto di allenatore, voluto e caldeggiato da Federazione, calciatori e tifosi.

Come detto Speed accetterà uno stipendio decurtato di circa il 50% rispetto a quello percepito allo Sheffield … ma la gioia di sedersi sulla panchina del “suo” Galles è davvero troppo grande per pensare di rinunciare.

Il Galles nel giro di pochi mesi si trasforma.

Diventa un avversario ostico per tutti, anche per quei team che fino a poco tempo prima “passeggiavano” sopra i dragoni gallesi.

A giovani talenti come Gareth Bale e Aaron Ramsey vengono affidati immediatamente ruoli di grande responsabilità nel team, la difesa con tre centrali voluta da Gary regala una grande stabilità alla squadra e giocatori di modesto lignaggio iniziano a fornire prestazioni sorprendenti.

Nell’ultimo incontro dell’anno, un amichevole contro la Norvegia del 12 novembre, il Galles vince per quattro reti ad una.

Sotto la guida di Speed il Galles passa in meno di un anno dal 117mo posto fino al 45mo, conquistando il trofeo indetto dalla FIFA come “Best Movers of the year” assegnato al team che nell’anno solare compie il salto maggiore nel ranking.

Insomma, sembra tutto perfetto.

E’ il 26 novembre.

Gary Speed partecipa ad una trasmissione della BBC che si chiama “Football Focus” come opinionista.

E’ sereno e disinvolto.

In fondo di parla di calcio e Gary di calcio ne capisce e ne sa parlare.

Poche ore dopo ha in programma di andare ad assistere all’Old Trafford all’incontro tra il Manchester United e uno dei suoi vecchi team, il Newcastle, il tutto in compagnia del suo amicone Alan Shearer con cui quel giorno stesso progetta una vacanza con le famiglie a Dubai per il mese successivo.

Quando esce dagli studi televisivi ci sono un gruppo di ragazzi che lo riconoscono e gli chiedono un autografo.

Uno di loro si farà immortalare in una fotografia insieme a Speed.

Sarà l’ultima immagine che avremo di lui.

Il mattino dopo il corpo di Gary Speed verrà trovato dalla moglie nel garage della sua villa ad Huntington.

Con una corda al collo.

Di tutte le illazioni, dei pettegolezzi su vere o presunte liti famigliari non è certo qui che leggerete.

Gary Speed era una “bella persona” prima ancora che un eccellente calciatore e un grande manager.

Mentre sto scrivendo le ultime righe di questo mio piccolo tributo arrivano dai tabloids inglesi altre illazioni, altri pettegolezzi e altre possibile spiegazioni al suo gesto disperato.

Storie di presunti abusi anche su di lui come altri abusi CERTI subiti e confessati da diversi calciatori della sua generazione passati per le grinfie di un orco schifoso che di nome fa Barry Bennell … che la vita l’ha davvero rovinata a tanti ragazzi.

Se anche Gary Speed sia stato uno di loro non lo sapremo probabilmente mai.

Come non sapremo mai se quel velo malinconico che spesso oscurava il suo splendido sorriso dipendesse da quello o semplicemente dal fatto che sono quasi sempre i cuori più grandi e le anime più fragili a sentire il “vuoto dentro” che porta, come è capitato a Gary, a soluzioni così tragiche e definitive.

La speranza, a distanza ormai di qualche anno, è una sola: che Gary Speed rimanga nella memoria collettiva esattamente come lui stesso si definì in una intervista.

“Sono solo un uomo onesto, che ama il suo lavoro e che è molto critico con se stesso”.

Riposa in pace Gary.

TRIBUTI

Ryan Giggs, compagno di squadra nel Galles per tanti anni: “Gary era una delle migliori persone del mondo del football e qualcuno di cui posso dire con orgoglio che ero amico”.

Howard Wilkinson, suo allenatore al Leeds ai tempi del famoso trionfo in campionato dei “Whites”: “Era un fenomeno da giocatore e lo sarebbe diventato da allenatore. Aveva una vita meravigliosa da vivere. Fa ancora più male sapere che se ne andato così”.

Alan Shearer, suo compagno al Newcastle e con il quale Gary aveva stretto una grande amicizia: “Non riesco ancora a crederci. Il giorno prima abbiamo passato tanto tempo insieme, ridendo, scherzando e facendo programmi per noi e le nostre famiglie. Gary era una persona magnifica che con la sua presenza illuminava qualsiasi luogo in cui entrava. Sono orgoglioso di avere avuto il privilegio della sua amicizia e so che mi mancherà immensamente”.

Sam Allardyce, suo allenatore al Bolton: “Aveva un carisma incredibile. Appena arrivò al club molti dei ragazzi erano in soggezione nei suoi confronti. Non ha mai fatto pesare il suo status. Il primo ad arrivare all’allenamento e l’ultimo ad andarsene. Mai una lamentela, mai una protesta, mai un mugugno. Un professionista esemplare e una persona meravigliosa”.

Infine il ricordo più dolce e toccante, quello di Gordon Strachan, suo compagno di squadra in quel Leeds United: “Quello che ricorderò sempre di lui sarà la sua risata. Aveva la risata gioiosa di un bambino. Potrò dimenticarmi partite, risultati e goal … ma la risata di Gary non la dimenticherò mai”.