YEFERSON SOTELDO: Giocare con allegria
Il solito barrio. Quello fatto di morte, violenza, rapine, fame e povertà. Quello in cui sopravviverci una volta non è semplice, figuratevi due. Quello da cui uscirne è difficile, molto difficile.
Un modo, il più prezioso, è il più noto al mondo: con la palla al piede. Non necessariamente a testa alta. Yeferson Soteldo ci è nato e cresciuto a El Muertico, uno dei peggiori quartieri di Caracas. E ci è pure tornato, un ragazzino dal talento purissimo che non è riuscito a mostrare la sua luce nel Caracas Fc, una delle più importanti squadre del Venezuela.
Ora Yeferson Soteldo è pronto a giocarsi la finale di Copa Libertadores con la maglia del Santos. O meglio: con la maglia numero 10 del Santos. Se chiudi gli occhi e pensi a quelle due cifre nere su sfondo bianco, due sono i nomi che ti vengono in mente: Pelè e Neymar.
E ora lui, El Manzanita, il piccolo venditore di mele, quello cresciuto con mamma Franchi Martinez a fargli anche da papà, quello che davvero vendeva mele per strada, quello che, parole sue, “il calcio mi ha salvato la vita, ma lo dico sul serio”. Sì, ma chi glielo ha dato, idealmente, quel pallone per fuggire via da lì? Chi gli ha servito l’assist per segnare il gol più difficile?
Chi gli ha dato la forza di lasciare, per la seconda volta, El Muertico? El Profesor, Noel Sanvincente, detto El Chita, il ghepardo. Istituzione del calcio venezuelano, attaccante ex Club Deportivo Mineros de Guayana, Club Sport Maritimo de Venezuela, Minerven e Caracas FC, dove ha vinto in totale 5 campionato, ha dovuto appendere gli scarpini al chiodo per un brutto infortunio al ginocchio.
Ma parallelamente, mentre correva in campo e faceva gol, realizzando anche 5 reti nella Copa Libertadores a metà anni ’90, El Chica studiava già per diventare allenatore. Iniziò a 20 anni, seguendo un corso in Venezuela, spostandosi poi tra Argentina, Brasile e Messico e, nel ’98, l’inizio, con i più giovani. Perché lui, per i giovani, ha intuito.
Il calcio muove il sentimento, detta il ritmo al cuore e sa quando far trovare le persone giuste al posto giusto. E’ così che Noel Sanvicente, un giorno, su un campetto, va a vedere una sfida tra i giovani di Barinas e quello di Portuguesa. Da allenatore dello Zamora, Sanvicente conosce da vicino quelli di Barinas, meno quegli altri. Dove gioca, quel giorno, Soteldo.
Senza giri di parole, citiamo quello che El Chita racconta di quel giorno: “Sono rimasto scioccato quando ho visto quel ragazzino scrollarsi di dosso tutti i suoi avversari con la palla al piede”. E fu così che, a 15 anni, poco dopo il suo ritorno a El Muertico, poco dopo la bocciatura e il rischio di venir inghiottito dal lato oscuro dell’umanità, quell’uomo, illuminato del pallone, salva quel ragazzo grazie al calcio.
Due anni ad allenarsi con la Prima Squadra dello Zamora, poi, a 17, il debutto nel calcio dei grandi. Anzi, dei giganti, perché Soteldo, coi suoi 158 cm, pare un bambino tra le maglie dei cattivi avversari. Un apparente fanciullo tra i briganti. Apparente perché a 17 anni è giù uomo, per quello che ha vissuto e per quello che, poco più di 9 mesi dopo, lo porterà a diventare padre di Thiago Mateo, il suo primogenito, chiamato così in onore del suo idolo Lionel Messi, che ha due bambini: Thiago e Mateo, per l’appunto.
Nel 2017, poi, la sua dolce metà, Elianny Jimenez, mette al mondo anche la piccola principessa della casa. Nome? Rihanna. Sì, per quella Rihanna lì. Il resto è storia nota, un cammino tra Huachapito, Universidad de Chile e Santos. Da uno degli angoli più bui del Sudamerica al tetto luccicante del continente, con quella Libertadores che è lì, a pochi passi.
C’è da vincere contro il Palmeiras, favorito, dopo aver matato il Boca Jrs. Poi, il futuro, è ancora tutto da scrivere, visto che c’è Gallardo che lo vuole con sé al River, innamorato del piccolino che lotta contro i giganti.
E che, a differenza di tanti Davide contro Golia, non vuole far cadere gli altri per sentirne il rumore perché “quelli più grossi ne fanno di più”; no, è esattamente il contrario, lui non ha alcun senso di rivalsa verso i grandi, anzi. A Soteldo “piace essere piccolo, perché così, per LORO, è difficile tenermi stretto”. Tenendo sempre a mente gli insegnamenti del suo ‘animale guida’, El Chica: “Giocare, ma con allegria”.