La leggenda dei Boys in Green nacque grazie ad uno scozzese
Durante le qualificazioni alla fase finale dei campionati europei del 1988, il 14 ottobre 1987 l’Irlanda sconfisse 2-0 la Bulgaria a Dublino, superandola in classifica con undici punti contro dieci, ma con una partita giocata in più.
I bulgari mantenevano una migliore differenza reti e avrebbero giocato la loro ultima partita in casa. Contro la Scozia, ormai fuori dai giochi.
Ai padroni di casa bastava un pareggio per qualificarsi, per la prima volta, alle fasi finali del campionato europeo. I tifosi bulgari quasi non erano dispiaciuti della sconfitta in Irlanda, perché così avrebbero potuto festeggiare lo storico evento della qualificazione, a Sofia, nel proprio stadio.
Si preannunciava una grande festa quel giorno, l’11 novembre 1987 per i sessantamila tifosi accorsi al National Stadium, incuranti del freddo e della pioggia battente.
La Bulgaria aveva vinto tutte le partite di qualificazione giocate in casa, non perdeva tra le mura amiche da tre anni. La Scozia invece aveva già perso in Belgio e storicamente lontano da Hampden si trovava in difficoltà.
L’ultima vittoria fuori casa in una partita ufficiale risaliva al maggio 1985 (vittoria in Islanda 1-0 negli ultimi minuti). Ma soprattutto la Scozia non aveva più nulla da chiedere a questo girone di qualificazione, quindi non avrebbe avuto alcuna motivazione.
Alcuni infortuni avevano inoltre costretto il CT Roxburgh a convocare giocatori che di solito non facevano parte della rosa, come il debuttante Gary Mackay, ventidue anni centrocampista degli Hearts of Midlothian (era dal 1974 che la squadra protestante di Edimburgo non forniva un uomo alla nazionale). Inizialmente si accomodò in panchina.
Il presidente-dittatore bulgaro Todor “Tato” Zhivkov, oltre a detestare il calcio, non vedeva di buon occhio questo clima di festa popolare, che avrebbe potuto destabilizzare in qualche modo il suo potere, che forse già iniziava ad avvertire i venti di cambiamento che avrebbero portato alla caduta del muro di Berlino due anni dopo.
Al momento del fischio d’inizio lo stadio si presentava pieno, ma non vi erano colori, cori e incitamento. Tutto era grigio, l’atmosfera era cupa, strana, moltissimi militari del regime erano mescolati ai sessantamila spettatori, per controllare che “tutto filasse liscio”.
I giocatori bulgari erano contratti, nervosi, perdevano tempo, come se non vedessero l’ora che la partita finisse sullo 0-0. La Scozia invece era pimpante, sembrava quasi che fosse lei a dovere vincere a tutti costi.
Nel secondo tempo la partita continuò su questa falsa riga. Nella Scozia il giovane Mackay avevapreso il posto dell’infortunato McStay, era il suo debutto in nazionale.
A quattro minuti dalla fine, con le squadre ormai stanche per il campo pesante, Stoichkov fece un fallo criminale su Durie sulla destra, un fallo da rosso diretto, ma non fu neppure ammonito.
L’arbitro austriaco Helmut Kohl, omonimo del cancelliere tedesco, fece proseguire per il vantaggio e Clarke, l’attuale ct della nazionale, lanciò in profondità Mackay, che infilò la rete. «Quando ho visto la palla entrare, il mio cuore si è fermato» ricordò.
Aveva segnato al suo debutto, con la maglia della propria nazionale, una gioia pazzesca. Non importa se quello rimarrà l’unico gol e se avrà solamente altre tre volte la possibilità di scendere in campo. Quel giorno fu un eroe, soprattutto in Irlanda, che grazie a questa vittoria si qualificò peri campionati europei 1988.
La Bulgaria provò finalmente ad attaccare e a rendersi pericolosa, ma era troppo tardi. L’arbitro concesse un recupero da ufficio inchieste: sette minuti all’epoca erano un’enormità, di solito al massimo si arriva a tre e non vi erano state interruzioni particolari.
A fine partita Mackay parlò alla televisione bulgara, e una volta rientrato a casa riguardò la partita registrata a casa dei genitori. «Papà, perchè non hai registrato la mia intervista? Ero così emozionato che non ricordo neppure quello che detto, avrei voluto riascoltarla».
«Scusa figliolo, quale intervista? Le immagini sono terminate sul triplice fischio finale». Gary Mackay aveva parlato ad un microfono muto ed era stato ripreso da una telecamera spenta. Potere della nomenklatura!
Si consolò ricevendo dal portiere irlandese Pat Bonner, che giocava nel Celtic, una bottiglia di champagne, in aeroporto al suo ritorno. Anche la federazione calcio irlandese inviò una cassa di champagne a quella scozzese, che la rispedì al mittente.
«Non abbiamo giocato per voi irlandesi, abbiamo giocato per l’orgoglio della nostra nazione» fu la risposta.
Mi sembra doveroso ricordare chi scese in campo quella sera a Sofia: Leighton in porta, Malpas, Clarke, McLeish e Gillespie in difesa. Nicol, Aitken, McClair, Mc Stay e Wilson a centrocampo, Sharp unica punta. Nel secondo tempo, oltre a Gary Mackay, Gordon Durie subentrò a Sharp.
Pensando a certe partite, a tutti i livelli, dove la squadra che non ha nulla da chiedere e ne affronta una che deve fare risultato a tutti i costi, prima o dopo si “scansa”, beh credo che questa fu una lezione di grande sportività e serietà da parte della nazionale scozzese.
Rimane il dubbio di un possibile intervento del “regime”, ma questo non ci è dato saperlo ed è bello pensare che, forse, quella fu davvero un’impresa.