HECTOR CASTRO, el divino manco: più forte del destino
Non c’è alcuna forza in grado di ostacolare o compromettere il cammino di una persona, se i sogni e la voglia di arrivare sono così grandi da sovvertire un destino già segnato.
La storia di Hector Castro è un esempio di come anche i più grandi ostacoli sono nulla rispetto alla forza di volontà, alla voglia di emergere.
Montevideo, 29 novembre 1904.
In uno dei quartieri più poveri della capitale uruguaiana, nasce un bambino di nome Hector. Di origine galiziana, i Castro sono una famiglia umile, come tante nell’Uruguay di inizio 900.
Quando il piccolo cresce, alterna lo studio nelle scuole serali con il lavoro in falegnameria.
Ma la sua grande passione è il calcio.
A 13 anni perde la mano destra, mozzata di netto da una sega elettrica.
Una tragedia del genere avrebbe spazzato via i sogni di chiunque.
Ma non al piccolo Hector.
Il ragazzo è forte, ha temperamento.
E ha un sogno.
Non potrà più fare il falegname, e si arrangia a fare ciò che può.
Ma il calcio riempie sempre i suoi pensieri.
Decide così di dedicarsi soltanto al pallone.
A 17 anni esordisce nel campionato uruguaiano, con la maglia del Lito di Montevideo. Gioca da centrattacco, ha un fisico possente ed è abilissimo nel gioco aereo.
Inizia a fare ciò che lo renderà famoso. Segnare.
Si mette in evidenza come uno dei migliori giovani del paese.
Per i tifosi diventerà subito El Manco, il monco.
Nel 1924 arriva la chiamata del Nacional, uno dei club più prestigiosi della capitale, la squadra per cui fa il tifo fin da bambino.
Sarà la svolta della sua vita.
Vince subito il campionato, e nel 1925 il Ct Ernesto Figoli lo convoca in Nazionale.
L’anno dopo, in Cile, l’Uruguay vince il Campeonato Sudamericano de Football, l’equivalente dell’attuale CopaAmérica.
E luiè semplicemente devastante. Segna al Cile, contro l’Argentina, ne fa 4 nell’ultima partita contro il Paraguay. Sei reti in quattro partite, vicecapocannoniere del torneo come il compagno Héctor Scarone, dietro al cileno Arellano.
Alle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928, la Celeste si conferma squadra di livello assoluto. In finale contro l’Argentina si impose per 2 a 1, in quella che all’epoca fu definita come “la partita più bella di sempre.
Ma l’apoteosi per il piccolo stato sudamericano arriverà due anni dopo, nella prima edizione dei Mondiali di Calcio, giocati proprio in patria. Ancora una volta in finale contro l’Argentina, l’Uruguay ribadisce per l’ennesima volta la sua incontrastata superiorità. Una curiosità riguardante la finalissima fu che, colui che avrebbe dovuto giocare al posto di Castro, Juan Peregrino Anselmo, fu colto da una attacco di panico e dovette saltare la partita. Secondo un’altra versione invece, non scese in campo per paura dell’aggressiva marcatura dell’argentino Monti.
Fatto sta che toccherà ancora a El Manco far parte di quella straordinaria linea d’attacco che comprendeva anche Dorado, Scaroni, Cea e Iriarte.
Anche stavolta lascerà il segno, segnando di testa, il suo marchio di fabbrica, il gol del definitivo 4-2.
Campioni del mondo.
Nasce la leggenda del “Divino Manco”.
Dedica l’intera carriera alle maglie della Celeste e del suo amato Nacional, salvo la parentesi argentina nell’ Estudiantes de La Plata nel 1932.
Ma il richiamo Tricolores è troppo forte.
Torna in patria dopo una sola stagione.
E vince altri due campionati, nel 1933 e nel 1934.
Nel 1935 ha ormai più di 30 anni, ma c’è un ultimo torneo da giocare con la sua Nazionale: un’altra edizione del Campeonato Sudamericano.
In Perù, El Divino regala l’ennesima gioia alla sua gente.
Segna all’esordio contro i padroni di casa, e nello scontro diretto contro la storica rivale, l’Argentina.
3 a 0.
E’ l’ennesimo trionfo.
Abbandona il calcio giocato nel 1936, con un bilancio di 20 gol in 25 partite con la maglia della Celeste, mentre con il Nacional le realizzazioni saranno ben 145 in 231 partite.
Resta comunque nel giro della sua squadra del cuore anche dopo il ritiro, e nel 1939 diventa il secondo allenatore dello scozzese William Reaside.
Poi la società decide di affidargli la panchina.
Realizza un altro capolavoro. Vince 4 campionati consecutivi. E un altro ancora nel 1952.
Nel 1959 viene chiamato a guidare la Nazionale, ma per motivi di salute abbandona dopo pochi mesi.
Morirà il 15 settembre 1960 a Montevideo, a soli 55 anni, per un attacco di cuore.
Doveva essere un bambino mutilato, senza alcun obiettivo nella vita.
Divenne invece un eroe, osannato da tutti.
Ha riscritto il proprio destino, sconfiggendo prima la povertà, poi la grave menomazione.
Ma lui era Hector Castro, El Manco.
Anzi, El Divino Manco.