ROBERTO BONINSEGNA: Il gol nel sangue
“Centravanti così non ne nascono più”.
Chi è, come quasi tutti noi del Nostro Calcio abbondantemente negli “anta”, lo pensa con sempre più grande frequenza.
In un calcio sempre più “fighetto”, dove i contrasti anche più leggeri passano sotto l’esame del VAR, dove nonostante fisici sempre più atletici sembra che sia quasi vietato sfiorarsi pensare a giocatori come “Bonimba” fa venire il “magone” come si dice dalle nostre parti.
Per quelli della sua generazione (Riva, Prati, Savoldi, Pulici ecc.) fare gol era un obiettivo che non si fermava davanti a nessun ostacolo. Rovesciate, colpi di testa in tuffo e spazi creati a forza di gomitate, spinte e calcioni … dati e ricevuti.
Il tributo a Roberto Boninsegna è inserito qui http://www.urbone.eu/obchod/questo-e-il-nostro-calcio#:~:text=QUESTO%20%C3%88%20IL,campo%20di%20calcio e a seguire ve ne proponiamo un breve stralcio.
«Ci sono cose che non si possono insegnare. Puoi anche essere il miglior allenatore di calcio del pianeta.
Conoscere tutte le tattiche di gioco, i metodi di allenamento, avere nozioni di medicina o biomeccanica o conoscere e saper fare alla perfezione tutti gli esercizi con e senza palla mai stati elaborati.
Puoi “ripulire” gesti tecnici non ancora perfetti, puoi insegnare come muoversi sul campo, come ricevere la palla, come stopparla o come difenderla.
Ma ci sono cose che HAI dentro di te o che NON HAI dentro di te.
Una è il CORAGGIO e l’altra è l’ISTINTO, che qualcuno chiama “intelligenza calcistica”.
Da quando alleno nelle giovanili del Football Club Internazionale di Milano ho visto decine e decine di ragazzi arrivare qua da noi con grandi doti tecniche, con capacità di palleggio, di dribbling, di visione di gioco, precisione e potenza nel calciare il pallone.
Ma senza coraggio e istinto il salto di qualità non lo fai.
Quando arrivò da noi Roberto Boninsegna aveva solo 13 anni.
Ci avevano detto che fino ad allora aveva giocato mezzala, ma fin dal primo provino lo abbiamo messo a giocare in attacco.
Faceva avanti e indietro da Mantova (dove abitava) e quando arrivò sembrava un pulcino spaesato. Piccolino, un fisico tozzo e la testa incassata tra le spalle.
Non c’era niente di lui che colpisse particolarmente ad una prima, superficiale occhiata.
Non aveva né grandi doti atletiche e neppure tecniche e usava praticamente solo il piede sinistro per calciare.
Ma come iniziava la partita si trasformava.
Diventava un guerriero.
Lottava su ogni pallone come la sua vita stessa dipendesse da “quel” pallone.
E capivi che per fare gol avrebbe fatto a cazzotti anche col Diavolo !
Di testa in tuffo, in rovesciata, in spaccata, con un ginocchio, una coscia o anche con il sedere se fosse stato necessario.
Vedeva “solo” la palla. L’avversario era un inutile scocciatura tra lui e il pallone, tra lui e il gol.
E di gol Roberto Boninsegna ne faceva tanti.
Praticamente viveva per quello.
Perfino nelle partitelle di allenamento s’immusoniva se non segnava ed era capace di incazzarsi come una biscia con se stesso se sbagliava un gol.
Non solo.
Giuro che nelle prime settimane pensavo “ma guarda un po’ te quel ragazzino qua che culo che si ritrova ! La palla arriva sempre dove si trova lui”.
Non avrei potuto sbagliarmi più clamorosamente.
Ero io a non aver capito nulla e ad essere in torto marcio.
Era LUI che si faceva sempre trovare nel posto dove sarebbe arrivata la palla …
Mica una differenza da poco!»
… CONTINUA …
Ma adesso gustiamoci “Bonimba” in azione … comprese le sue storiche rovesciate …