Si dibatte spesso nel calcio quanto nei risultati di un allenatore abbia influito il lavoro di quello precedente. Gli esempi sono infiniti. E nella maggior parte dei casi chi arriva dopo, e magari vince di più del predecessore, finisce per rimanere non solo negli albi d’oro ma nella memoria collettiva.

Al Liverpool Bob Paisley ha vinto tantissimo, molto di più del suo predecessore Bill Shankly. Ma colui che creò quel Liverpool fu proprio il piccolo scozzese di Glenbuck.

Fabio Capello è stato un vincente straordinario, capace di tirar fuori il meglio dai suoi ma è innegabile che quella che ha ereditato da Arrigo Sacchi era una squadra fenomenale che giocava a memoria.

Di Pep Guardiola tutti conosciamo le immense doti ma Frank Rjikard ha fatto tantissimo per il Barcellona che il catalano ha poi saputo portare ai massimi livelli del calcio europeo.

E potremmo andare avanti ancora con un’infinità di esempi.

Ma nessuno è clamoroso come quello che stiamo per raccontarvi.

E lo è semplicemente per il fatto che per il 99.9% degli appassionati di calcio il Brasile più grande e spettacolare della storia ha per tutti un padre, un creatore e un profeta: Mario Zagallo.

Il Brasile di Messico ’70, quello che incantò il mondo con il canto del cigno di Pelé, quello dei “cinque numeri 10”, quello del calcio “samba” (che poi era molto più “capoeira” visto il fantastico connubio di armonia e fisicità) quello che passò sopra come un tornado agli azzurri nel secondo tempo della finale dello stadio Azteca.

Solo che non è semplicemente la verità.

O meglio.

Zagallo non ha fatto altro che “conservare” quello che una delle persone più intelligenti, carismatiche e geniali della storia di questo Paese abbia mai partorito: Joao Saldanha.

E’ il 4 febbraio del 1969.

Il Brasile non è ancora riuscito ad andare oltre il disastro dei Mondiali inglesi del 1966. La scelta di mettere a capo della Commissione Tecnica Paulo Machado de Carvalho non convince in pieno.

In Brasile nel frattempo si è instaurata l’ennesima dittatura militare con a capo il generale Artur da Costa e Silva. Sono cinque anni che il potere nel Paese è in mano ai militari dopo il colpo di stato che nel 1964 rovesciò il Presidente Joâo Goulart.

Joâo Havelange, Presidente della Federazione calcistica brasiliana, sa che occorre un uomo di grande carisma, apprezzato e dalla personalità sufficientemente forte per reggere l’urto dei media brasiliani e della dittatura che, come sempre in questi casi, vede nello sport l’occasione per rafforzare la propria immagine.

Quel giorno Havelange decide di presentare il nuovo Commissario Tecnico che avrà il compito di portare il Brasile ai Mondiali e soprattutto di cercare di vincerli.

La sua scelta lascia di sasso tutti i presenti alla conferenza stampa.

L’uomo a cui è affidato l’incarico di risollevare le sorti del Brasile si chiama Joao Saldanha.

e di professione fa il giornalista !

Quando viene fatto il suo nome da Joao Havelange durante la conferenza stampa Saldanha è seduto in mezzo ai suoi colleghi, con a fianco il fedele fotografo della “Ultima Hora”, il quotidiano per il quale lavora Saldanha.

Saldanha si alza e si siede al centro del tavolo.

Estrae un foglio e legge i nomi degli undici titolari e delle altrettante riserve che faranno parte della spedizione in Messico … prevista più o meno un anno e mezzo dopo !

L’impatto è fortissimo.

Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere prima.

Ma se c’era qualcuno in grado di farlo, questo in Brasile lo sanno tutti, è proprio Joao Saldanha.

Con lui sulla panchina la Nazionale brasiliana si trasforma.

“Pelé o Tostao ? Qual è il problema scusate ? Giocheranno tutti e due” spiega Saldanha a chi gli chiede di fare una scelta tra i due più grandi talenti del Paese che molti giudicano incompatibili insieme in campo.

Nel girone di qualificazione per i Mondiali messicani del 1970 lo score del Brasile di Joao Saldanha racconta di sei vittorie in sei incontri, di 23 reti segnate e solo due subite (nel sei a due interno contro la Colombia).

In quel girone di qualificazione Tostâo segnerà dieci reti e Pelé sei … e per fortuna che non potevano coesistere …

Nel frattempo però arrivano i primi tremolii alla apparentemente solidissima panchina di Saldanha.

A capo della Dittatura ora c’è il generale Emilio Garrastazu Medici, figlio di un italiano e di una basca.

In Brasile tutti sanno delle simpatie politiche di Saldanha.

E’ comunista, è membro del partito ed ha avuto una parte attiva in manifestazioni e importanti prese di posizione pubbliche.

Quando Medici viene insediato nell’ottobre del 1969 inizia con Saldanha un braccio di ferro dialettico che ha il solo obiettivo di screditare il Commissario Tecnico del Brasile e sostituirlo con qualcuno più malleabile e soprattutto conforme alle “idee” politiche della dittatura.

Il problema per la Giunta militare è che Saldanha è ormai popolarissimo ed è entrato nel cuore di tutti i brasiliani.

Lui, che l’allenatore lo aveva fatto solo per un breve periodo, più di dieci anni prima, con il suo amato Botafogo, vincendo il campionato “Carioca” al primo assalto nel 1957.

“Dario è un giocatore straordinario. Non si può andare in Messico senza di lui” dichiara il Generale Medici in una scorretta e provocatoria frase riportata da tutti i media brasiliani.

“Dada Maravilha”, questo il soprannome di Dario José dos Santos, è il giovane centravanti dell’Atletico Mineiro, squadra per la quale Medici fa il tifo.

“Direi che il Generale Medici farebbe meglio ad occuparsi dei suoi Ministri, lasciando perdere le cose serie” è la splendida risposta di Joao Saldanha.

Ma la guerra tra i due è appena cominciata.

E si sa che tra un dittatore che controlla praticamente tutti i media del Paese e un allenatore/giornalista con simpatie politiche opposte lo scontro non sarà mai giocato alla pari.

La campagna diffamatoria nei confronti di Saldanha diventa sempre più serrata e senza scrupoli.

E’ un alcolista, protegge le fughe al night dei suoi giocatori, il successo e la popolarità gli hanno dato alla testa … queste sono solo alcune delle critiche rivolte a Saldanha.

Che non solo non si lascia minimamente condizionare, ma continua a gettare benzina sul fuoco.

Va in polemica con Pelé, del quale pare che dica “inizia a non vederci più bene come prima” e in una partita della Nazionale lo relega in panchina. Poi inizia a fare esperimenti, convocando nuovi giocatori per poi rimandarli a casa dopo le visite mediche, estromette il portiere Felix per convocare il giovanissimo Leao … per poi tornare sui suoi passi perché “Leao ha le braccia troppo corte per essere un grande portiere”.

In realtà tutte queste sono cose tutto sommato veniali in un Paese che ama il calcio come il Brasile. Quello che davvero fa imbestialire la Giunta di Medici sono le dichiarazioni rilasciate a diversi organi di stampa internazionali quali “Le Monde”, dove Saldanha afferma che “in Brasile c’è al governo una violenta dittatura che tortura e uccide i prigionieri politici”.

Questo non può essere digerito da Medici e dai suoi accoliti.

“Non si può andare ad una manifestazione come un Campionato del Mondo di calcio guidati da un comunista sovversivo”.

Questo è ciò che teme e non può accettare la Giunta militare.

Il suo carisma, la sua capacità comunicativa e il suo grande potere mediatico possono trasformare la Nazionale brasiliana non come il simbolo di un Brasile forte e autorevole ma come la voce principale di un Paese che rivuole la Democrazia.

Joao Havelange è costretto a correre ai ripari.

E’ il 17 marzo del 1970.

Ai Mondiali messicani mancano due mesi e mezzo.

Saldanha viene rimosso dall’incarico.

Al suo posto arriverà Mario Zagallo, molto più “filo-governativo” e che per troppi e per troppo tempo si prenderà il merito di aver creato quella Nazionale meravigliosa che incantò il mondo durante i Mondiali messicani.

(Zagallo che inserirà immediatamente Dario tra i ventidue convocati del Brasile per i Mondiali … salvo non farlo poi giocare un solo minuto durante tutto il torneo …)

La reazione di Saldanha (che a quei Mondiali andrà ovviamente come giornalista) è, come sempre, di un livello superiore.

“Perché mi abbiano fatto fuori è facile capirlo. Più difficile è capire perché mi abbiano assunto”.

Particolare importante.

Questi gli undici titolari elencati da Saldanha durante la conferenza stampa di presentazione.

«Felix (Fluminense), Carlos Alberto (Santos), Brito (Vasco da Gama), Djalma Dias (Atletico Mineiro), Rildo (Santos); Piazza (Cruzeiro), Dirceu Lopez (Cruzeiro), Gerson (Botafogo); Jairzinho (Botafogo), Pelè (Santos), Tostao (Cruzeiro)»

Otto di questi giocarono la finale del Mondiale contro gli azzurri.

I tre “mancanti” (Clodoaldo, Everaldo e Rivelino) erano fra gli undici indicati in panchina …

ANEDDOTI E CURIOSITA’

Fare una cernita tra gli innumerevoli aneddoti riguardanti la vita di questo grandissimo personaggio è davvero un’impresa.

Nato nello Stato del Rio Grande do Sul, la regione più meridionale del Paese, Saldanha ha tra gli antenati diversi rivoluzionari e guerriglieri.

Pare che lui stesso da bambino aiutasse a trasportare armi dal Brasile al vicino Paraguay.

A vent’anni era un leader studentesco impegnato politicamente con il PCB, il Partito Comunista Brasiliano del quale rimarrà membro per tutta la sua esistenza.

Dopo la laurea in legge inizia a girare il mondo, studiando giornalismo e seguendo il calcio (una delle sue grandi passioni insieme alla politica, al samba e alle donne) ad ogni latitudine.

A calcio e a basket gioca benissimo.

Sceglie il primo ma non ha fortuna. Un grave infortunio alla caviglia mentre fa già parte della rosa del “suo” Botafogo lo costringe a lasciare il calcio.

Il Botafogo, fra la sorpresa generale, si ricorda di lui nel 1957, quando Saldanha è già un giornalista affermato.

Gli viene affidata la prima squadra.

Una “signora” prima squadra che comprende tre degli eroi del Mondiale di Svezia vinto dal Brasile l’anno successivo: Garrincha, Didi e Nilton Santos.

Come detto vince immediatamente il campionato e sorprende tutti con il suo calcio offensivo e rivoluzionario. “Nessun calciatore è padrone di una zona del campo. E’ ora di andare oltre le posizioni fisse sul terreno di gioco”. … argomento di discussione anche ai giorni nostri.

Vince il titolo di Rio alla prima stagione mentre nella seconda lo sfiora, terminando a pari punti con Flamengo e Vasco de Gama. Si giocano i play-offs ma le squadre finiscono ancora a pari punti. Altro play-offs e a spuntarla è il Vasco de Gama.

Sembra tutto perfetto ma quando la dirigenza della “Estrela Solitaria” decide di cedere Didi al Real Madrid Saldanha, deluso dalla mancanza di ambizione del Club, si dimette e torna a lavorare come giornalista e radiocronista.

Nel 1964 il Brasile torna sotto una Dittatura Militare. Saldanha non perde occasione per attaccare il Governo. Viene inserito in una “lista nera” e ogni suo movimento viene scrutato e registrato. Dopo i Mondiali d’Inghilterra del 1966 in Brasile si rende protagonista di un episodio molto controverso che mette in chiara evidenza un carattere davvero difficile e una mai nascosta indole a risolvere con la violenza le questioni.

Nel 1967 sta commentando in diretta tv la sfida decisiva per il campionato Carioca tra il Botafogo e il Bangu.

Nonostante la vittoria del Botafogo per due reti ad una il comportamento del portiere del Botafogo Manga non convince Saldanha, che lo accusa in diretta di essere stato pagato da quel “biscazziere” di Castor de Andrade per far perdere i suoi.

Poco dopo Castor de Andrade fa letteralmente irruzione nello studio televisivo con alcuni dei suoi scagnozzi per “sistemare la cose con quel giornalista dalla lingua troppo lunga”.

Pare che siano armati ma Saldanha, tutt’altro che impaurito, inizia a lanciare oggetti contro de Andrade e i suoi accoliti con la trasmissione che viene opportunamente interrotta.

Un altro che non accetta le parole di Saldanha (e non può essere altrimenti !) è proprio il portiere del Botafogo Manga.

“Che venga qua domani alla festa per il titolo a dirmele in faccia queste cose !” tuona il portiere da un programma radiofonico.

Saldanha si presenta puntuale alla festa ma non ha nessuna intenzione di ritrarre quanto affermato.

Sfodera la sua pistola è urla al portiere di farsi avanti.

Vieni qui ragazzino che sistemiamo la cosa”.

Qui le versioni sono discordanti.

C’è chi dice che poco prima dello sparo qualcuno riesca ad abbassargli la mano facendo in modo che il colpo finisca sul pavimento mentre altri affermano che in realtà è lo stesso Saldanha che spara un colpo verso l’alto per spaventare il numero uno del Botafogo.

Quando viene richiesto il suo commento all’accaduto Joao Saldanha se la cava alla sua maniera: con una dialettica geniale.

“Di sicuro non ho sparato per ucciderlo. Ma è altrettanto vero che non posso dire di aver sparato per non ucciderlo”.

Il suo Brasile diventa una immediatamente una macchina da gol. Incanta nelle qualificazioni e oltre ad un gioco veloce e offensivo i “verde-oro” ritrovano anche quella grinta che era clamorosamente venuta a mancare ai Mondiali d’Inghilterra del 1966, dove furono picchiati senza pietà (e soprattutto senza reagire) da bulgari, portoghesi e ungheresi.

Memorabile l’incontro giocato al Maracanà contro i campioni del Mondo dell’Inghilterra davanti ad oltre 130 mila spettatori.

Passati in svantaggio grazie ad un gol di Colin Bell i brasiliani prima falliscono un rigore con Carlos Alberto (parato dal grande Gordon Banks) ma poi rimontano nel finale grazie ai gol di Tostâo e Jairzinho.

E’ il tonico perfetto per una Nazionale che sta ritrovando le vecchie sensazioni e che si appresta ad affrontare le qualificazioni per il Mondiale messicano.

Qualificazioni che sono un successo completo quanto inatteso.

Sei vittorie in sei partite e la dimostrazione che “l’idea” di calcio di Santana è perfetta per i talenti di quel Brasile.

“Giocano i migliori. E i calciatori intelligenti sanno coesistere”.

Ma pare proprio che Saldanha non riesca a stare lontano dai guai.

Dopo l’ultima partita di quell’impeccabile girone di qualificazione (vinta uno a zero contro il Paraguay grazie ad un gol di Pelé) arrivano per Saldanha le inattese quanto dure critiche dell’allenatore del Flamengo Dorival Knippel, detto “Yustrich”.

Saldanha decide di risolvere la questione a modo suo.

Si presenta, come sempre brandendo il suo amato “ferrinho”, nell’albergo dove si trova la squadra del Flamengo cercando il tecnico del “Mengâo” in ogni anfratto.

“Dove ti nascondi bastardo ?” lo sentono gridare.

Di “Yustrich” però non c’è traccia. Avvisato dell’arrivo di Saldanha aveva prudentemente lasciato l’albergo.

“Quanto rumore per nulla” dichiarerà successivamente Saldanha “era solo una visita di cortesia per poterci scambiare le nostre diverse opinioni …”

Della capacità dialettica di Joao Saldanha abbiamo già abbondantemente parlato. Ma ci sono alcune “chicche” assolute che non possono mancare raccontando di questo geniale allenatore/giornalista/opinionista/politico.

Nei suoi vari spostamenti in Europa Saldanha è stato spesso ospite di trasmissioni televisive in diverse nazioni.

Alcune sue dichiarazioni sono rimaste nella storia.

In Germania un giorno gli venne chiesto cosa pensava del genocidio perpetrato dal Governo brasiliano nei confronti degli Indios in Amazzonia.

“Avete ucciso più tedeschi voi in dieci minuti in una delle vostre guerre che il Brasile in quasi 500 anni di storia”.

In Inghilterra è ospite della BBC in un programma insieme a Sir Alf Ramsey, l’uomo che pochi anni prima aveva portato l’Inghilterra sul tetto del mondo calcistico.

Ad un certo punto Ramsey afferma che il problema per gli inglesi non saranno solo l’altura e il caldo messicano ma saranno soprattutto gli arbitri e i guardalinee sudamericani “notoriamente poco onesti” afferma il tecnico inglese.

La risposta di Saldanha è fantastica.

“Perché voi inglesi sareste onesti ?” chiede il Commissario Tecnico brasiliano a Ramsey.

“Assolutamente !” è la fiera risposta di Ramsey.

“Ah si ? e se siete così onesti a cosa si deve la fama di Scotland Yard ?”

Durante il suo periodo al comando della Nazionale brasiliana rilasciò un’altra dichiarazione che non fece assolutamente piacere alla Giunta militare, dichiaratamente fascista e razzista.

“I neri sono perfetti per giocare a calcio. Hanno leggerezza, velocità, destrezza e inventiva. Potete parlarmi finché volete di Di Stefano o Puskas … non avranno mai la genialità di Pelé o Garrincha” aggiungendo un altrettanto geniale è vero, non sono bravi nel nuoto. Ma solo perché nelle piscine non li fanno entrare”.

Saldanha nell’estate del 1990 è a Roma, per seguire i Mondiali di calcio organizzati nel nostro Paese. E’ come sempre in veste di inviato ma la sua salute è già seriamente compromessa.

I due pacchetti di sigarette giornalieri che fuma praticamente da sempre stanno presentando il conto.

Il suo ultimo articolo sarà sulla semifinale tra Italia e Argentina del 3 luglio. Il giorno dopo verrà ricoverato per gravi problemi respiratori al Sant’Eugenio di Roma dove morirà otto giorni dopo, il 12 luglio a settantatre anni.