DIEGO BUONANOTTE: Perché non sono morto anch’io?
Sono passati quasi 12 anni dalla notte maledetta che cambiò la vita di Diego Buonanotte, allora ventunenne star dei “Millionarios” del River Plate.
E’ il giorno di S. Stefano del 2009, sono le 6.30 del mattino e Diego sta viaggiando con l’automobile del padre (una Peugeot 307) con tre grandi amici d’infanzia, quelli a cui sei legato a doppio filo e che neanche la fama, le copertine, il denaro e i trofei possono allontanare dalla tua vita.
Si è appena conclusa la stagione calcistica argentina nella quale Diego, pur non avendo fatto gli autentici sfracelli della stagione precedente quando fu determinante nella conquista del titolo del River (vedere l’articolo “River Plate: le immagini di un trionfo “ nel Blog) ha confermato in pieno tutte le attese riposte su di lui non solo dal River ma da tutta l’Argentina.
Per i quattro ragazzi c’è in programma una piccola vacanza in Brasile e si stanno dirigendo all’aeroporto di Buenos Aires dopo una serata tranquilla tra amici, dove hanno giocato a paddle tennis e a calcetto prima di chiudere la serata in Pub. Sono nei pressi di Santa Fè (ad Arribenos per la precisione) e stanno viaggiando sotto un diluvio. Improvvisamente Diego, che era alla guida, perde il controllo dell’automezzo, sbanda e finisce la sua corsa contro un albero sul ciglio della strada.
I suoi 3 amici muoiono tutti sul colpo.
Per il talentuoso giocatore del River “solo” fratture (all’omero e alla clavicola) e una grave lesione al polmone che per qualche giorno terrà in apprensione staff medico, famigliari, amici e tutti i tifosi del popolo biancorosso del Monumental.
La ferita più grossa però è al cuore.
“Perché non sono morto anch’io ? Perché ?” è tutto quello che Diego riesce a dire in quei giorni.
Diego per fortuna si riprende velocemente. La botta è tremenda ma i medici dicono che “El enano” (visti i suoi 160 cm scarsi di altezza) tornerà sui campi di calcio, anche se i tempi saranno lunghi.
A questo punto però si scatena il solito stupido, volgare “fuoco mediatico” di giornali e televisioni. Per tutti o quasi, Buonanotte è il responsabile e i motivi dell’incidente sono quelli classici per i quali crocefiggere Diego in quattro e quattr’otto; gli eccessi di ragazzotti viziati e con troppi soldi in tasca. Giustizialisti quasi tutti, garantisti pochi, se non quelli che conoscono bene Diego, ragazzo tranquillissimo e posato senza nessuno dei “vizi” classici di tanti ragazzi che alla sua età incontrano successo e fama. In realtà dopo pochi giorni arrivano i risultati delle analisi effettuate immediatamente dopo l’incidente; droga e alcool non c’entrano affatto.
Il processo per omicidio colposo si chiude due anni dopo dove non solo si assolve completamente Buonanotte per qualsiasi tipo di negligenza ma dai riscontri effettuati dai periti la causa è da far risalire al classico “acquaplaning” causa purtroppo di tanti altri incidenti. E non solo; arriva un altro riscontro probabilmente decisivo.
Diego era l’unico in quella notte maledetta ad avere le cinture di sicurezza allacciate.
I problemi però non si risolvono con una semplice sentenza che assolve l’uomo; l’anima di Diego è ferita per sempre e ancora oggi, a cinque anni dall’incidente è seguito in terapia da uno staff di psicologi.
Meglio non approfondire troppo l’accoglienza ricevuta da Diego in praticamente tutti gli stadi d’Argentina (gli idioti nascono a tutte le latitudini, non serve stupirsi o scandalizzarsi) che lo accolgono con insulti di ogni tipo dove “asesino” è solo uno dei più in voga.
Il River lo blinda con un lungo contratto (fino al 2015) ma per lui in Argentina diventa impossibile giocare. Arriva per lui un trasferimento in Spagna al Malaga, allora una delle squadre di punta del campionato spagnolo ma Diego non mantiene fede alle promesse di poche stagioni prima ai suoi esordi nella Primera argentina.
Solo qualche buona prestazione ma mai un posto da titolare e nella ventina di presenze in due stagioni due soli gol, di cui uno in Champions contro lo Zenit di Spalletti. Due anni dopo arriva il trasferimento al Granada ma neppure qua si riesce a rivedere il giocatore che aveva entusiasmato gli Hinchas dei Millionarios.
Poi arriva per Diego il prestito al Pachuca nel campionato messicano dove a sprazzi mostra ancora qualcuna delle caratteristiche che lo hanno messo in evidenza, come il dribbling secco e un sinistro velenosissimo, ma, anche se Diego ha in fondo ancora solo 28 anni, pare che il grande calcio sia per lui ormai solo una chimera e i tanti Clubs che nel passato si sono avvicinati a lui (anche Milan, Napoli e Palermo si sono interessati in passato al talentino argentino) paiono ormai consapevoli che ben difficilmente “El enano” tornerà ad essere quello di prima.
Un breve rientro in Argentina al Quilmes (dove segnerà, senza esultare ovviamente, proprio al “suo” River Plate) a seguire un salto nel campionato greco con l’AEK di Atene dove gioca ad un buonissimo livello e poi l’ultimo trasferimento, in Cile all’Universidad Catolica, dove in questi anni ha recuperato gran parte del suo talento, con grandi prestazioni e tantissimi gol e addirittura arriva ad essere consacrato il “Miglior calciatore del campionato” nella sua prima stagione al Club cileno.
Proprio qui Diego ha ritrovato casa. Ancora oggi a 33 anni è qui in Cile, in un luogo dove è amato, stimato e apprezzato. E dove non c’è più nessuno a ricordargli ad ogni partita quello che comunque non potrà mai dimenticare
Con lui c’è la bellissima Jenny Ferre, sua moglie da ormai diversi anni.
Insieme a lei Diego ha ritrovato quella serenità e quella gioia di vivere che un ragazzo della sua età DEVE avere … lasciandosi finalmente alle spalle quella terribile notte di S.Stefano di tanti anni fa
Buona fortuna Diego.