Il genio è l’1 per cento ispirazione e il 99 per cento traspirazione.

L’aforisma è di dubbia origine, qualcuno lo associa a Edison (uno che sudò molto!), qualcun altro a Ernest Hemingway.

Ma non vogliamo, hic et nunc, indagare sulla primogenitura. È altro quello che ci interessa, come la lista che andrò adesso a sottoporvi.

C’è un filo che unisce: Volodymyr Bezsonov, Diego Armando Maradona, Romulus Gabor, Geovani, Paulo Silas, Robert Prosinečki, Bismarck, Emílio Peixe, Adriano, Caio, Nicolás Olivera, Seydou Keita, Javier Saviola, Ismail Matar, Lionel Messi, Sergio Agüero, Dominic Adiyiah, Henrique, Paul Pogba, Adamà Traorè, Dominic Solanke e Lee Kanh-in.

Quale?

Ci sono dei calciatori fortissimi, vedi Maradona e Messi, accanto ad altri nomi che poco o nulla dicono. Eppure questa è la lista dei migliori calciatori dei Mondiali Under 20 che si tengono ogni due anni dal 1977.

Perché Maradona, Messi, Saviola e Aguero hanno mantenuto le aspettative e altri no? Solo, come nel caso di Prosinečki, questione fisica (infortuni a raffica) o c’è dell’altro? C’è sicuramente dell’altro.

E l’altro attiene molto spesso alla sfera mentale.

Il talento non basta.

Mai.

Per primeggiare bisogna abbinare al talento il lavoro, la tenacia, la volontà.

Certo qualcuno potrebbe anche dire che queste belle parole mal si abbinano a Maradona.

E allora gli dico di vedere come il pibe de oro si metteva in riga e in forma quando c’erano i mondiali.

Comunque, quando mi rivolgono la parola in merito al più grande spreco di talento che abbia mai visto in ambito calcistico, spesso e volentieri mi viene in mente quasi subito il nome di Nii Odartey Lamptey, nato ad Accra il 10 dicembre del 1974.

La prima volta che mi imbattei in questo nome fu nell’autunno del 1990, si parlava

dell’Anderlecht, sul Guerin Sportivo, e di questo giovane calciatore che debutto appena l’età l’aveva consentito: a 16 anni. Per dirla tutta, i dirigenti bianco-malva cercarono anche un escamotage per cercare di farlo esordire prima dei 16 anni; comunque anche così, Lamptey fu e rimane il più giovane debuttaante nella A belga, che adesso di chiama Jupiler Pro League.

L’allenatore Aad de Mos lo definì in quell’articolo come più forte di Van Basten alla sua età.

E de Mos aveva allenato un giovanissimo Van Basten.

Mi appuntai mentalmente il nome, sono un fenomeno in questo.

L’anno dopo, il Ghana vinse, in Italia, il mondiale Under 17 anche grazie alle giocate di Lamptey. Una competizione, quella giocata in terra di Toscana, che mise in luce talenti come Veron, Gallardo, un giovane Del Piero e Baggio.

Eddy Baggio, fratello di Roberto Nove e mezzo e partner d’attacco del già citato futuro Pinturicchio.

Ma la star di quel mondiale Under 17 fu Lamptey. Il gioiellino dell’Anderlecht, dove giocava alla pari con gente come Nilis e Bosman (Johnny Bosman), incantò un po’ tutti.

Il Ghana vinse quella edizione, potendo contare, oltre a Lamptey, il quale s’era già fatto notare nel 1989, anche sui tre che poi sarebbero stati comprati dal Torino: Mohammed Gargo, Emmanuel Duah e Samuel Kuffour, quest’ultimo come saprete ha avuto una più che buona carriera nel Bayern Monaco.

Lamptey l’anno dopo fu bronzo alle Olimpiadi di Barcellona, con la prima nazionale africana a prendere una medaglia nel calcio. Nel mentre aveva anche fatto in tempo a debuttare con la nazionale A: all’alba del 1993, Nii sembrava davvero la nuova perla nera.

Edson Arantes do Nascimento si sbilanciò arrivando ad additare il ghanese come suo “erede naturale”. Il ruolo era quello, le movenze feline anche, ma…

Successe che… Pochi anni dopo, a soli 22 anni, Nii Odartey Lamptey era ormai un ex calciatore che faceva panchina in serie b nel Venezia.

Il suo curriculum è impressionante, in negativo, avendo giocato, si fa per dire, nei campionati di ben 12 differenti nazioni e 4 differenti continenti. Ha giocato, male, anche in Cina.

Verrebbe da chiedere a un mental coach: “Cosa è successo?”

E poi: “Quali azioni e quali strategie avresti messo in atto per recuperare e portare perlomeno alla normalità un simile talento?”

Eppure aveva tutto per sfondare e per diventare una icona pop di quegli anni; aveva tutto per anticipare Cristiano Ronaldo sul campo e come glamour, con l’aggiunta di una storia particolare, triste, cruda.

Da romanzo.

Una storia che avrebbe narrato di un bambino abbandonato prima dal papà (che non mancava di picchiarlo e di spegnere addosso al piccole le sigarette) per via della separazione dalla mamma e poi dalla mamma, che, dopo aver trovato un nuovo compagno, pensò bene di lasciarsi indietro, per strada, anche il piccolo.

Sì, per strada.

Nii Odartey Lamptey trovò rifugio in un campus di calcio musulmano, dove, previa conversione all’Islam, almeno ebbe da mangiare e continuò a giocare a calcio. Una storia che sarebbe proseguita seguendo il piccolo Nii in fuga con pochi spiccioli e un passaporto falso attraverso Ghana, Togo e Benin per arrivare in Nigeria e da lì, con un passaporto falso, volare in Belgio dove ad attenderlo c’era uno che l’aveva già segnalato a quelli dell’Anderlecht.

Una storia che avrebbe raccontato anche di lutti tremendi e atti ostili: Nii vide morire un figlio e fu spesso vittima, in Inghilterra e Germania, di episodi di razzismo.

Il figlio si chiamava Diego, certamente non una scelta casuale dal momento che sicuramente non è un nome ghanese né tantomeno il nome del padre, con il quale ebbe violenti discussione anche per via della conversione, per questione di vita o di morte, all’Islam che, va detto, in quegli anni era ben più moderato.

Sarebbe stata una bella storia, edificante, da biopic e lui, in quanto rappresentante europeo di un mondo (l’Africa) e una religione (l’Islam), sarebbe stato un ambasciatore formidabile per il movimento sportivo africano a cavallo del Millennio.

Tutto ciò se avesse avuto il successo che le sue doti lasciavano sperare.

Avrebbe potuto essere un brand ben prima di R9, di Beckham-Adams e di CR7, magari con più attenzione al sociale, ma scelte sbagliate e una certa indolenza di fondo ne hanno fatto invece uno dei tanti errori di valutazione di Pelè.

E non il nuovo O’Rey.

In questo post non ci son quasi statistiche. È stata una scelta voluta quella di provare a tratteggiare una parabola spezzata senza ricorrere a numeri e liste. Per quelle info c’è Wikipedia, noi de “Il Nostro Calcio” cerchiamo di metterci il contorno.